I diritti dei cani e il paradosso della rana bollita

Oltre il 60% degli italiani ha un cane.

Nella narrazione odierna il cane sta sul divano con tutta la famiglia, non più nella cuccia in giardino come negli spot in bianco e nero e nei cartoni animati degli anni 60, non mangia più ossa, ma buon cibo elaborato dalla scienza, ha diritto a cure, welfare e anche libertà.

Queste cose ci danno la misura di come la considerazione del pet in molte zone d’Italia sia rapidamente cambiata, sancendo ormai il passaggio culturale definitivo da una gestione zootecnica del cane a una inclusiva, di membro della famiglia a tutti gli effetti. Ci si chiede se non sia accaduto tutto troppo velocemente, andando a creare conflitti in alcuni settori della società, culturalmente impreparati a questa svolta.

Forse sì, e lo si arguisce, per fare solo un esempio, dalla difficoltà ad accettare la libertà del cane negli spazi verdi urbani da parte di una fetta consistente della popolazione delle città settentrionali. Nel sud Italia invece i cani gestiti liberi sono una cosa normale, e le persone che girano con il cane al guinzaglio (in genere noi turisti del nord) sono guardate un po’ come strambe.

Molte persone, in qualche modo, si sentono minacciate dalla libertà dei cani. Per loro è accettabile socialmente che qualunque altro animale possa circolare libero anche in città, ma i cani no.

Il cane deve stare al guinzaglio perché l’idea è che il cane sia un’animale artificiale, frutto esclusivo della selezione umana. Ma non è così. Se si leggono le ricerche serie, della popolazione di cani nel mondo, circa 500 milioni, l’80% vive in libertà, e una grande fetta di questi sono cani selvatici, animali come i lupi e le volpi, che se la cavano benissimo senza di noi. La gente da noi non sa nemmeno che esistano, i cani selvatici. Pensa che siano randagi abbandonati dall’uomo. Eppure, i branchi di cani selvatici, non parlo dei randagi, esistono anche in Italia. Lo statuto della Regione Sicilia li tutela quanto l’altra fauna selvatica.

Chi è contrario alla libertà dei cani non lo è per paura.

Chi ha paura dei cani va rispettato. La paura è un’emozione, non un ragionamento, e la paura non si può controllare. Infatti, chi ha paura dei cani si tiene a distanza da loro e dai loro proprietari e non va ad argomentare con loro.

Per quelli che argomentano invece appare essere proprio il fattore libertà a scatenare disagio, l’insulto, la rabbia. E spesso la diatriba spunta proprio nei posti dove è permesso liberare i cani dal guinzaglio. Le aree sgambo non recintate a Milano, per esempio, esistono. Basta leggere i regolamenti comunali. E sia chiaro, prima che prosegua: le leggi e le regole, anche se a volte non ci paiono condivisibili, vanno rispettate. Da chi ha un cane e da chi non ce l’ha.

“I cani sporcano, teneteli al guinzaglio”, “la pipì dei cani fa morire gli alberi”, e via dicendo, i luoghi comuni e le affermazioni senza senso spaziano dal mondo dell’assurdo all’ecologismo militante. Quando il disagio in certe persone non riesce più a contrastare il buon senso delle risposte che gli vengono date, estraggono l’arma finale: “I cani non hanno più diritti dei bambini”.

E resti basito.

Ma cosa c’entrano i diritti dei bambini? Ma chi li ha mai messi in discussione i loro diritti? Non importa, il tema bambini vince su tutto. I bambini hanno diritto a tutto e i cani no. E di conseguenza chi ha un cane non amerebbe i bambini. Sarebbe uno psicopatico.

Sono prese di posizione queste, che rivelano come i cambiamenti culturali che avvengono troppo velocemente generano conflittualità nell’opinione pubblica.

In Italia, soprattutto al nord, siamo passati nel giro di pochi decenni dalla gestione zootecnica del cane, tenuto fuori casa, magari alla catena, all’idea del pet, che colloca il cane fra i membri a tutti gli effetti della famiglia, con conseguente estensione al cane dei diritti umani. Nemmeno tutti poi, a ben vedere.

Nella nostra società antropocentrica, la gestione zootecnica del cane non metteva in discussione la questione dei diritti umani, né poneva il problema di compararli a quelli di altre specie. Ma se le cose cambiano ecco spuntare il disagio.

C’è d’altro canto una difficoltà culturale molto diffusa in questo paese a comprendere che l’estensione dei propri diritti ad altre categorie non mette in discussione la solidità dei propri, nessuno che acquisisce un diritto che non aveva lo ruba a nessun altro che ce l’ha già. I diritti acquisiti restano a tutti.

Però nella storia questa percezione distorta della realtà continua a verificarsi: nei confronti delle donne, dei migranti, delle persone LGBT, delle persone di colore, dei lavoratori, dei credi religiosi. Adesso tocca ai cani. È un classico della chiusura mentale umana.

Il fatto è che le persone, per accettare qualunque cambiamento, hanno bisogno di tempo, tanto tempo.

Quando questi mutamenti avvengono troppo in fretta, la gente reagisce male, si divide, e nascono teorie per giustificare il disagio che non hanno alcun senso logico.

Prova ne è che in certe aree del paese, come le campagne, le montagne, il sud, dove questo cambiamento di considerazione nei confronti dei cani sta arrivando con più lentezza, questi risentimenti fanno fatica ad emergere, come avviene invece nelle grandi città del nord.

C’è quindi una relazione diretta fra la velocità con cui si manifesta un cambiamento e il crescere delle resistenze al cambiamento.

Questi sono i termini del paradosso che stiamo vivendo. Il paradosso della rana bollita. Una rana immersa in una pentola d’acqua fredda che si scalda lentamente sul fuoco, non si accorge che sta per essere bollita, sempre che l’acqua non si scaldi troppo in fretta.

Leggi di più

I cani entrano pesantemente nella nostra vita

Sono entrati in punta di zampe nei nostri cuori, nei nostri pensieri, nelle nostre preoccupazioni, nelle nostre abitudini, e pian piano, senza che ce ne rendessimo conto, sono entrati anche nella nostra tecnologia.
E attraverso quella riescono anche a cambiare la nostra identità anagrafica: io ho la rubrica del cellulare piena di nomi con nomi di cani al posto dei cognomi. Luca Spotty, Enrica Bubù, Antonio Ringo, Giovanna Flipper…
Così se ti chiamano e ti dicono “ciao sono Francesco” sorge immediato il dubbio e spunta la domanda classica: “Scusa, Francesco Pluto o Rambo?”.
Chiariti i dubbi si può proseguire nella conversazione.
Fai l’istruttore cinofilo e pensi che per te sia normale rubricare i clienti così, fin quando non scopri che sui telefonini di metà delle persone che conosci, anche quelle che non hanno il cane (!!!) sei registrato come Duccio Pepe.
I cani influenzano anche le nostre comunicazioni telefoniche.
È un classico conversare con un amico che non vedi da tempo, e mentre gli stai dicendo che avresti proprio voglia di vederlo, ti senti rispondere “Non ci pensare nemmeno.”
Resti per un attimo imbarazzato, poi ti senti dire: “Oh, scusa, parlavo al cane che stava allungando il naso sulla tavola imbandita.”
Il frainteso telefonico, fra persone che hanno il cane, è sempre dietro l’angolo.
Ultimamente i cani sono entrati anche nel computer dell’ufficio. E non solo sui salvaschermi.
Se qualcuno, a fianco alla finestra della call con il suo capo ha quella della telecamera che monitorizza il proprio cane rimasto da solo in casa, capita che possa scappare un improperio fuori luogo se vede il suo cane fare a brandelli il divano… Si rischia il licenziamento e le spiegazioni sarebbero anche peggio della gaffe.
I cani sono diventati influencer. Negli spot televisivi spuntano cani dappertutto: e non solo nelle pubblicità di cibi per animali. C’è sempre un cane protagonista per magnificare l’efficienza nell’aspirare peli delle aspirapolveri di ultima generazione ma anche degli umili stracci per far la polvere. Per venderti la connessione internet il testimonial è un cane. Per rendere più attrattiva qualunque cosa, mettici un cane e farai affari.
C’è una logica in tutto questo: quella che ancora oggi, dopo 36.000 anni di convivenza, per fare la maggior parte delle cose, abbiamo sempre e ancora bisogno di loro.

Leggi di più

Cani dominanti, capibranco e altri animali fantastici

Esiste davvero la “dominanza”? Il problema non è se esista o no, ma cosa sia.
E in genere le risposte sono sempre poco chiare o fantasiose.
I vocabolari e la letteratura cinofila dicono:
“Dominanza: sostantivo femminile derivato di dominare: l’essere dominante. La postura dominante è quella assunta da un cane che vuole comunicare la sua superiorità gerarchica. Questo vuol dire che si sente sicuro di sé e lo dimostra con il suo corpo.”
SI parla perciò di “postura dominante” e non di “cani dominanti”, che possiederebbero come affermano esimi esperti del web, uno stato caratteriale, mentale ed espressivo di dominanza, invariabile in qualunque situazione siano posti.
Un cane che esibisse questo comportamento di continuo, suggerirebbe di rivolgersi non a un istruttore, ma a un medico veterinario comportamentalista, perché se fosse ridotto in uno stato cognitivo simile avrebbe bisogno di farmaci, non di training.
Il linguaggio di specie dei cani include l’aggressività, con tutti quegli atteggiamenti che a noi umani piacciono così poco. Un ringhio è un avviso: “smetti di fare quello che stai facendo”. È dialogo, è confronto nella loro lingua, sono predatori. Non è ancora scontro.
Un cane competente usa la comunicazione aggressiva solo quando è necessaria ed è quasi sempre ritualizzata: i cani equilibrati difficilmente arrivano alla rissa, a far del male o a uccidere.
Un cane equilibrato è un cane sicuro, non un bullo feroce.

  • Un cane sicuro non ha bisogno di andare a importunare di continuo tutti i suoi simili aggredendoli, montandoli, ribaltandoli, mordendoli, per dir loro che il capobranco è lui.
  • Un cane sicuro rivela agli altri cani immediatamente la sua sicurezza, è calmo, competente, ha leadership. E non cerca lo scontro con nessuno.
  • Un cane sicuro non marca come un pazzo su tutte le cose verticali che trova, incluse le gambe degli umani.
  • Un cane sicuro è un cane equilibrato. Se si incontra con un altro cane, lascia che siano i suoi feromoni e come si muove a parlare, non i denti. Se l’altro non ha problemi particolari, capisce. Se non capisce è perché è un adolescente ormonale o un cane impulsivo, e il cane sicuro lo ribalta. Non per dominanza, piuttosto perché l’altro non ha rispetto per lui. E se l’altro è anche lui un cane sicuro, si guardano bene entrambi di fare i cretini.
  • Un cane sicuro lo deve al suo processo di attaccamento con una madre esperta, lo deve all’età, all’esperienza, al suo vissuto, alla relazione che ha con il suo referente, non a certi tipi di addestramento per “farlo diventare un cane dominante”.
  • Un cane sicuro trasmette AUTOREVOLEZZA, non autorità.
  • Un cane sicuro può anche giocare con cani insicuri, ed è capace di dar loro agio e di non farli sentire in difficoltà, di scambiare il suo ruolo, di chiedere il permesso e anche scusa se c’è un fraintendimento. La prima regola del gioco sano è che quando si gioca si è pari. Non si domina nessuno.

Ma allora cos’è questa dominanza?

Ci sono quelli che vi dicono che la dominanza è un comportamento ereditato dai lupi che serve a stabilire chi è il “capobranco”.
Sono sciocchezze senza alcun costrutto etologico: i comportamenti di specie sono coerenti alla struttura sociale e funzionali alla sopravvivenza. Lupi e cani derivano da un antenato comune, ma hanno strutture e comportamenti sociali differenti.
I branchi di lupi sono famiglie, in cui i soggetti detti “dominanti” o alfa, sono semplicemente i genitori, Sì, i genitori, loro. Non siate delusi se non ci sono licantropi in questa storia. Il resto del branco è formato dai figli di prima e seconda generazione. Quando nel branco sono in troppi, alcuni giovani di prima generazione vanno “in dispersione” e si trovano un compagno per formare un nuovo branco. Le attività principali dei lupi sono la caccia e la difesa del territorio, cose per le quali serve la massima collaborazione, non fare a chi ce l’ha più lungo tutto il tempo: servono capacità, competenza, ruolo, regole. E a chi non le rispetta viene detto, nel loro linguaggio. Non servono individui dominanti tutto il tempo.
I branchi di cani (liberi o randagi) sono invece nuclei misti, possono contenere famiglie e soggetti esterni, purché ognuno ricopra un ruolo indispensabile alla sopravvivenza del gruppo: sentinelle, bracci armati, tate, cercatori di risorse. Figure utili, che collaborano. I cani difficilmente cacciano, piuttosto vanno in giro a cercare acqua e cibo buttato via da noi pronto da mangiare, difendono il loro territorio. E il leader, il cosiddetto capobranco, non è quello più cattivo: è quello più anziano, più esperto, più intelligente, quello più autorevole, non il più autoritario. Le discussioni nel branco ci sono, ma hanno motivi precisi. Un cane che mordesse di continuo gli altri nel branco e non rispettasse le regole verrebbe subito allontanato dagli altri, e anche in malo modo. Non incoronato capobranco. E anche qui nessun cane dominante 24/7.
I cani di famiglia poi, i pet, non devono nemmeno cercarsele le risorse. Gliele forniamo noi, nella ciotola, a orari svizzeri, e li riempiamo di premietti. Decidiamo noi quando possono uscire e dove, quando giocare, incontrare altri cani e gestiamo anche la loro riproduzione. Il loro branco è la famiglia adottiva. E quindi chi dovrebbero dominare? Noi? Se accade, e il cane vi monta le gambe o vi ringhia, avete un bel problema con il cane, che non si risolve diventando il capobranco e vessandolo con taser e collari a strozzo, come chi sussurra ai cani vuole farvi credere, ma accreditandosi con lui come affidabili. Diventando autorevoli. Rivolgetevi a un istruttore cinofilo.
Il più delle volte, la cosiddetta “dominanza” è un sintomo di disagio cognitivo.

Spesso i cani si portano fuori casa, nelle relazioni con gli estranei, lo status che gli viene dato in casa, il più delle volte involontariamente, per mancanza di competenze educative.
Ci sono poi cani che hanno scoperto che un atteggiamento aggressivo e di controllo mette in soggezione gli altri cani e lo strumentalizzano per costruirsi una reputazione sociale. Ma del leader non hanno nulla. Sono cani insicuri, che pur essendo stati socializzati non sanno comportarsi adeguatamente nelle varie situazioni, per carenza di pratiche educative.
O semplicemente sono cani stronzi. Esistono anche quelli, i cani sono individui come noi.
Ci sono poi cani conflittuali, in cerca di affermazione, che per abbassare il peso che la competizione con il mondo gli procura, tentano in tutti i modi di sottometterlo o di prenderne possesso. È un comportamento tipico degli adolescenti e di alcune razze, in genere maschi, soprattutto se il proprietario non è stato in grado di impostare corretta educazione e accreditamento in preadolescenza. Reagiscono per primi in modo pesante nelle situazioni di tensione, spingono col posteriore, mettono le zampe addosso, montano e stringono, fiutano con insistenza le aree genitali, cercano di prendere possesso di oggetti e spazi, provocano e si impongono fisicamente, marcano pesantemente. Talvolta assumono un comportamento competitivo, basato su continue prove di forza. Ma non c’è mai la sicurezza dell’assertività, non c’è calma, c’è solo azione e impulsività.
Ecco il ritratto del cosiddetto “cane dominante”. Spesso un cane che ha bisogno di aiuto.
Si tratta di un cane che ha un disagio che va curato. La “dominanza” è quindi un problema comportamentale che deriva da una relazione con il nostro cane impostata male. Se avete un cane così, il consiglio è quello di non andare fieri di avere un cane dominante, come vi suggerisce qualcuno su youtube, ma di rivolgervi il prima possibile a un bravo istruttore cinofilo di approccio CZ.

Leggi di più

Cose che distruggono la relazione con il cane e cose che la costruiscono

Attraverso la smania di controllo sul cane e la ricerca della sola ubbidienza non si costruisce nessuna relazione, solo un rapporto basato sulla paura, la sfiducia e la soggezione.
Tutte le volte che cerchiamo di controllare il cane e ci agitiamo, siamo noi a essere in difficoltà.
Il mio cane mi segue libero al piede perché sceglie di farlo, perché ho costruito la mia relazione con lui sulla fiducia reciproca, non condizionandolo con pratiche addestrative o vessatorie.
I modi di distruggere una relazione o non farla nemmeno nascere e fare insorgere problemi comportamentali nel cane sono molti:

  • picchiarlo, schiacciarlo con la violenza verbale, “per insegnargli chi è il capobranco”
  • vietargli di rotolarsi e giocare con gli altri cani, “perché si sporca e poi mi tocca a lavarlo”
  • strofinargli il muso nella pipì o nella cacca da cucciolo, “per insegnargli a non farla in casa”
  • strattonarlo continuamente al guinzaglio, “così smette di tirare”
  • non portarlo mai fuori oppure poco e sempre nello stesso posto, “perché non ho tempo”
  • non giocare mai con lui, ignorarlo sempre, “perché mi fa fatica”
  • non dargli mai fiducia e libertà dal guinzaglio, “perché ho paura che scappi”
  • non fargli vedere mai altri cani, “perché potrebbero aggredirlo e poi lui è solo per me”
  • non fargli conoscere mai posti nuovi, “perché tanto per il cane è uguale”
  • abbandonarlo tutto il giorno da solo in giardino, “perché deve imparare a fare la guardia”
  • obbligarlo a fare cose di cui ha paura, “tipo ti butto in acqua così impari a nuotare”
  • non aiutarlo quando è in difficoltà, “tanto i cani se la devono sbrigare da soli”
  • ridere dei suoi comportamenti strani o di disagio “perché poi li posto su facebook”
  • portarlo a correre al guinzaglio andando in bicicletta “perché deve fare movimento”.

E su questo insisto. Oltre a essere vietato perché si tratta di maltrattamento anche grave, è pericoloso: escoriazioni ai polpastrelli sull’asfalto, impossibilità di soffermarsi a sentire gli odori, microfratture alle vertebre cervicali se si usa il collare, rischio di essere investiti entrambi e pericolo per il traffico, l’elenco è anche più lungo. La bici è un modo di fare movimento per uomini, non per cani.
Costruire una buona relazione invece richiede tanto impegno ma poche cose; forse una sopra tutte le altre: l’empatia.
I risultati però sono impagabili in termini di intesa, complicità, allineamento e propensione del cane a fare con voi le cose che gli chiedete.

Le 4 buone pratiche dell’empatia sono:

  • assumere la prospettiva del cane, porsi in ascolto, provare a sentire cosa prova il cane
  • non giudicare il cane, accettarlo anche se fa cose che non ci piacciono o non comprendiamo
  • riconoscere le sue emozioni, cioè dargli valore e riconoscerne l’importanza in ogni situazione
  • comunicargli che comprendiamo le sue emozioni e le sue motivazioni a fare, far sentire il cane «percepito» e rassicurato dalla nostra presenza.

Queste non sono cose alternative all’educazione, sono la base per un’educazione efficace.

I 4 strumenti che abbiamo tutti per empatizzare sono:

  • il linguaggio del nostro corpo: i cani sono più attenti a come ci muoviamo che a quello che diciamo. La postura che assumiamo inoltre ci fa cambiare stato emozionale trasmettendolo al cane.
  • la voce: va usata al minimo, solo per gratificare o in casi di effettiva necessità, quando il cane è lontano o siamo fuori dal suo campo visivo.
  • il tono della voce: deve essere calmo e sicuro. Urla, agitazione, continui “no”, sono segnali che allontanano il cane da noi.

• la mente: attenzione ai “cinema” che ci facciamo, ogni stato mentale produce specifici feromoni, che il cane percepisce. La stabilità emotiva trasferisce allineamento, senso di sicurezza e ci “accredita” nei suoi confronti come guide sicure e affidabili.

Leggi di più

Cani che ci sono, cani che ci fanno

I cani mentono? I cani imbrogliano? I cani ricattano? Certo che a volte possono farlo.
E i motivi possono essere tanti quanto i nostri. Mentire, imbrogliare, ricattare sono comportamenti opportunisti di sopravvivenza.
Ti nascondo le mie vere intenzioni o emozioni perché tu non prevenga il mio comportamento.
Ti ingaggio su un falso obiettivo per distrarti e ottenere un’altra cosa.
Ti prendo un oggetto e se non mi dai ciò che voglio non te lo ridò.
Se si ha una relazione solida con il proprio cane, queste tattiche, anche se si presentano, si mantengono all’interno della dimensione ludica, sono gioco, sfide, si riconoscono perché sono siparietti brevi e sporadici. Ma soprattutto siamo in grado di gestirle, stare al gioco o interromperlo se è il caso.
Quando invece si tratta di comportamenti continuativi e abituali, si tratta di problemi che derivano da una relazione mal impostata: quando si impongono troppi divieti al cane, troppe richieste frustranti; quando si chiede solamente e non si da mai, né fiducia né libertà; quando si interviene sui problemi direttamente, solo reprimendo il comportamento senza cercare di comprenderne le cause, che andrebbero rimosse per farlo cessare; quando le regole sociali non sono chiare.
Il cane è un animale sociale e ha bisogno di regole sociali e di un ruolo chiaro in famiglia per il suo stesso sviluppo cognitivo sano. Se il cane si sente escluso dal suo gruppo, se non si sente parte di una squadra in cui ha dei ruoli riconosciuti e gratificati, se non può fare mai nulla, il cane non trova appagamento e va in frustrazione.
Quando il cane non ha una guida, le cose da fare per trovare gratificazione e appagamento le decide in autonomia; se però non ha sviluppato le competenze per poterle affrontare perché non ha imparato a valutare le situazioni, a riflettere, a esercitare gli autocontrolli, ecco che il comportamento può facilmente scivolare fuori dalle regole della convivenza civile.
Ma può anche trasformarsi in ansia e tanti altri stati psicologici negativi.
Chiediamoci cosa gira nel cervello del cane quando ci mente: “Faccio finta di essere tranquillo così mi sganci dal guinzaglio e posso andare a rincorrere i ciclisti e i runner”. Ma perché lo fai? Probabilmente perché non ti ho deresponsabilizzato, non ti ho insegnato chi è fra di noi quello che si occupa dei problemi, ti ho sempre esercitato a rincorrere palline e basta senza pensare che così sviluppavo il tuo istinto predatorio, e adesso quelle che ti sembrano minacce o prede le vuoi gestire tu.
Chiediamoci cosa gira nel cervello del cane quando ci imbroglia: “Ti distraggo dal cibo sul tavolo abbaiando alla porta, tu vai di là a vedere e io ti frego il cibo”. Ma perché mi freghi il cibo? Non certo perché non ti do da mangiare, forse perché eri un randagio, sei appena arrivato in adozione, e questi sono i tuoi schemi operativi; però forse anche perché la nostra relazione è nuova, non si basa ancora sulla fiducia e non sono state impostate regole. Il possesso non è negativo, ma ci sono cose mie, cose tue e cose che condividiamo.
Chiediamoci cosa gira nel cervello del cane quando ci ricatta: “Ti ingaggio con un calzino che ti ho rubato per competere con te”. Pericolosissimo se per farsi ridare il calzino lo si scambiasse con un premietto: i premi dovrebbero essere dati solo se il cane è stato davvero bravo. Se mi ingaggi con il calzino, gioco con te a rincorrerti, non ti premio per ridarmelo. La gratificazione è nel gioco, nel competere, non insegniamo al cane a ottenere le cose attraverso il ricatto. E l’appagamento verrà dallo stare insieme ed esserci stancati a giocare. Un calzino non è così importante.
Ecco perché non è l’esercitare un “controllo” continuo sul cane che rende il cane educato, ma dargli queste competenze nell’ambito e in funzione del gruppo in cui vive, attraverso la dimensione del gioco. Attraverso il gioco si apprendono le regole per stare al mondo insieme agli altri, attraverso il gioco si impara tutto.
Leggi di più

Aiuto, il mio cane tira al guinzaglio!

Uno dei motivi per cui il cane tira al guinzaglio è che attraverso il paraolfatto percepisce il nostro stato d’animo.
I “cinema” che ci facciamo in passeggiata, la nostra ansia che Fido possa scappare, la nostra insicurezza nel gestirlo, in presenza di altri cani o nelle varie situazioni, attraverso l’organo di Jacobson, passano immediatamente al cane.
E cosa fa chiunque (mica solo i cani) quando si trova accanto una persona ansiosa, preoccupata, agitata interiormente, in continua allerta, che vede tutto negativo? Cerca di starle lontano.
Ecco perché il cane tira al guinzaglio: per allontanarsi da tutto questo. E appena può, fugge da una simile nuvola costante di negatività.
Poi non dite: “cane ingrato, mi è scappato”. Non è ingrato, è stressato.
In più, quando viviamo queste ansie, tendiamo ad accorciare il guinzaglio arrotolandolo intorno alla mano, a strattonare il cane, a tirarlo verso di noi, ottenendo tre pessimi risultati:

  1. Strattonandolo lo mettiamo in allerta, comunicandogli che non solo noi, ma tutto il mondo e gli esseri che lo popolano sono terribili minacce e problemi. Facendolo diventare aggressivo e pauroso.
  2. Facciamo tirare il cane ancor di più, perché tirandolo verso di noi lo sbilanciamo. Pensateci: se qualcuno mentre camminate vi tirasse per la giacca, il vostro corpo reagirebbe con una forza uguale e contraria per ripristinare il suo equilibrio, spostandosi nella direzione opposta. Proprio un concetto della fisica, non della psicologia.
  3. Per le leggi del comportamento, un cane che si abitua a tirare tirerà sempre di più. E le vostre passeggiate con il cane si trasformeranno in un incubo. Non solo, distruggerete quella poca relazione che avete con lui.

Qualche consiglio per far finire questo loop da cui non riuscite più ad uscire:

  1. Utilizzate un guinzaglio fisso da tre metri, senza anelli intermedi e portasacchettini delle feci che lo appesantiscono e lo fanno sbatacchiare, uno di quelli semplici con due moschettoni alle estremità, che potete così accorciare a un metro e mezzo (regolamentare in città). Vi permetterà di dare sempre agio al vostro cane in passeggiata.
  2. Gestite la sua lunghezza sempre con due mani, lasciandolo scorrere e allungandolo sui prati quando ha bisogno di annusare e negli incontri; accorciandolo invece quando vedete che il cane è in difficoltà.
  3. Per avere le due mani libere di gestire la lunghezza del guinzaglio, evitate di uscire in passeggiata con il cane con borse troppo ingombranti: uno zainetto è sempre la soluzione migliore.
  4. Non usate, per favore i guinzagli flexi: sembrano comodi ma lo sono solo per voi. La continua tensione, seppur minima, della molla mantiene il cane in costante stato di allerta, comunicandogli che da un momento all’altro potrebbe avvenire una catastrofe. Il flexi, soprattutto con i cani piccoli, è la principale causa dell’avversatività negli incontri con cani e persone in passeggiata. Questi guinzagli a molla, a lungo andare, provocano nei cani un carico di fastidio che accumulandosi nel tempo poi sfocia in comportamenti reattivi e aggressivi.
  5. Lasciategli sempre agio di muoversi quando cammina. E mantenete uno stato emotivo positivo e sicuro. Pian piano percepirà il perimetro del guinzaglio come una zona di sicurezza e smetterà di tirare per allontanarsi da voi.
  6. Se usate una pettorina, passate a quelle “alla romana”, o ad “H”. Le altre oltre a impedire la sua comunicazione non verbale con gli altri cani creando fraintendimenti, non lo lasciano libero nei movimenti. Non è contenendo il cane e mettendogli delle “palle ai piedi” che lo farete camminare al vostro piede…

Se non riuscite nemmeno così, state sbagliando qualcosa di cui non vi siete accorti. Rivolgetevi con fiducia a un bravo istruttore cinofilo.

Leggi di più

Il mio cane sembra sempre capire le mie emozioni. Come fa?

Si dice che i cani sono empatici. Sicuramente sono avvantaggiati nell’esserlo, perché possiedono un senso in più di noi: il paraolfatto.
Di questo senso è responsabile un organo situato all’interno della cavità nasale, detto vomeronasale, o di Jacobson.
Nel cane il sensore di quest’organo si trova sul palato superiore, proprio dietro i picozzi (la coppia centrale di incisivi) ed ha la forma di una piccola pallina. Potete verificarlo anche voi se il vostro cane vi lascia mettere le vostre mani nella sua bocca.
Il paraolfatto non ha nulla a che vedere con l’olfatto, gli odori e l’annusare: gli stimoli che recepisce passano infatti per un canale separato da quello olfattivo nel tragitto per raggiungere l’area del cervello preposta ad analizzarli e discriminarli.
Negli esseri umani quest’organo si atrofizza durante la fase fetale, in quasi tutti gli altri animali non umani, invece, funziona molto efficacemente.
A cosa serve il paraolfatto? A catturare i feromoni e gli ormoni che tutti gli animali, attraverso l’alito, le urine, le feci, il sudore e altre ghiandole del corpo, rilasciano nell’aria attorno a sé.
Ormoni e feromoni sono sostanze molto volatili e, semplificando un po’, senza entrare in complesse descrizioni scientifiche, sono coinvolti in vari processi chimici dell’organismo, tra cui la neurotrasmissione delle emozioni. Tutti le emettiamo, cani e umani compresi.
Quando un individuo è stressato, emette cortisolo; se è sereno, serotonina, se è arrabbiato acetilcolina o norepinefrina; se ha voglia di divertirsi dopamina. E così via, ad ogni emozione corrisponde l’emissione di particolari sostanze.
Tutti siamo avvolti costantemente da una nuvola di sostanze che segnalano il variare del nostro stato emotivo. Solo che noi non possiamo percepirle, il cane invece sì, e molto bene.
Quando si incontrano, la prima cosa che fanno due cani è annusarsi a vicenda. Il mix di odori e feromoni rilasciati dall’altro permette a un cane di ottenere molte informazioni su di lui: chi è, dove vive, che persone, cani e posti frequenta, quanto tempo fa li ha frequentati, quanti anni ha, di che sesso è, se è sano o ammalato, cosa mangia, se è disponibile sessualmente, e infine ma non meno importante, di che umore è.
L’umore influenzerà tutto quello che succederà subito dopo fra loro.
Odori e feromoni di un individuo sono come un biglietto da visita per il cane, di più, un curriculum vitae!
Pensare di poter mentire a un cane su dove siamo stati, cosa abbiamo toccato o mangiato, chi abbiamo visto o di nascondergli come ci sentiamo davvero, è una battaglia persa in partenza.
Con un olfatto 100.000 volte superiore al nostro nel percepire e discriminare gli odori e un senso come il paraolfatto, in grado di percepire il minimo variare dello stato ormonale, il cane è come un superdetective.
E poiché il nostro cane ci sta accanto tutto il tempo, non può fare a meno di percepire la nuvola delle nostre emozioni che ci circonda, finendo per allinearsi sulla loro “lunghezza d’onda”.
Perciò, se ci sembra che il nostro cane capisca come ci sentiamo, non è una nostra impressione, è davvero così.  Se noi siamo ansiosi, tristi, allegri, arrabbiati, sereni o sicuri, anche il cane che ci sta vicino lo diventerà.

Leggi di più

Cani che socializzano, cani che non ne hanno voglia

Nessun cane dovrebbe socializzare al guinzaglio. È vero. Verissimo. Ma abitiamo in città, e sui marciapiedi gli incroci sono inevitabili.
Altre volte potrebbero essere evitabili, ma spesso accade che pensando sia bene che i cani socializzino, portiamo il nostro cane a incontrare altri cani senza leggere la né la sua comunicazione né quella degli altri. Mi riferisco sia a incontri in area cani che al guinzaglio per la strada o ai giardini.
Siccome noi umani siamo abituati, quando ci incontriamo, ad avvicinarci uno all’altro così, andiamo dritti sparati con il nostro cane al guinzaglio verso l’altra persona e l’altro cane.
Non funziona così fra cani, l’avvicinarsi con una traiettoria rettilinea a un altro individuo della loro specie è percepito come un pessimo segnale: può essere scambiato per un approccio aggressivo.
Il cane condotto al guinzaglio, soprattutto se ha un collare e se lo tratteniamo, è costretto a tenere la testa alta, impossibilitato a lanciare all’altro cane qualunque segnale calmante, come per esempio mettere il naso a terra, con il risultato che la testa alta appare all’altro come un segnale di sfida.
Spesso poi aggiungiamo ansia all’incontro: accorciamo il guinzaglio, lo teniamo teso e così comunichiamo al nostro che l’altro cane è un problema.
La maggior parte degli scontri avvengono proprio fra cani al guinzaglio, che trattenuti in tensione sono messi in allerta e impossibilitati ad avere un approccio corretto nel loro linguaggio.
Se camminando sul marciapiede non si può fare a meno di evitare un incontro al guinzaglio fra cani, la cosa migliore da fare è trovarsi fra il nostro cane e l’altro quando si incrociano, o prendere per tempo spazio per dare agio a entrambi, mantenendo un atteggiamento calmo e sicuro, niente ansia.
Se il vostro cane manifesta aggressività, fermatevi a distanza di sicurezza, frapponetevi e lasciate passare, cambiate strada, attraversate, date agio al vostro e all’altro cane; se manifesta paura o si ferma, si siede, si accuccia a terra, state sempre fra lui e l’altro cane comunicandogli appoggio e sicurezza.
Se invece si nota interesse fra i due a incontrarsi, tenete SEMPRE il guinzaglio morbido, lasco, che permetta al cane di avvicinarsi all’altro nel modo corretto. Gli permetterete così di cambiare idea e prendere spazio dall’altro se cambia idea.
Chiedete anche all’altro proprietario di tenere il guinzaglio così. Se si rifiuta e non ce la fa a gestire il cane correttamente, salutate cordialmente e allontanatevi richiamando il vostro cane.
Ci sono cani che non hanno alcun bisogno di socializzare con gli altri cani.
Sono fatti così. Stanno benissimo solo con voi. Non è un problema comportamentale.
Ci sono cani che, per effetto della selezione di razza, non amano gli altri cani.
Ci sono cani che, come noi, oggi non hanno voglia di socializzare e domani magari sì.
Ci sono cani sicuri e cani insicuri.
Ci sono cani che possono essere indisposti o patire un disagio psicologico e voi non ve ne siete accorti, perché non possono mica parlare e dirvelo, e non se la sentono di socializzare.
Accettiamoli e rispettiamo sempre le loro disposizioni. Non hanno nessun problema, sono individui, ognuno diverso dall’altro, come noi.
E infine ci sono cani che vanno sugli altri cani in maniera irruenta. Il fatto che un cane voglia andare da un altro non è sempre indizio che voglia socializzare. Potrebbe anche voler fare il bullo con l’altro. O semplicemente è un cane giovane che ha bisogno di essere educato.
Le persone vedono che i cani scodinzolano e pensano non ci siano problemi; ci sono però tanti modi di scodinzolare e bisogna saperli leggere, insieme a tutto il resto della comunicazione non verbale. Se non lo sapete fare, fate un percorso con un educatore cinofilo, imparerete tante cose che vi aiuteranno a valutare le situazioni.

Leggi di più

Aree cani: istruzioni per l’uso. (o il non uso)

Per favore, non buttate mai a forza un cane in un’area cani.

Guardate se ha davvero voglia di entrare e cercate anche di capire il perché.

Ci sono cani amici suoi dentro? Sapete leggere bene il loro comportamento e le loro intenzioni?

Tutelate il vostro cane ma tutelate anche quelli degli altri: il vostro cane potrebbe anche voler entrare per andare a fare il bullo con qualche suo simile. O si sa interpretare bene il comportamento dei cani o è meglio evitare di fidarsi delle code che scodinzolano: non sono sempre segnali positivi. I cani non scodinzolano solo per gioia, scodinzolano per nervoso, per eccitazione, per aggressività, per paura.

Maschi con femmine vanno d’accordo, sessi uguali no? Non è una regola. Guardate cosa si dicono i cani, non se hanno il pisello. Il mio cane maschio si è fatto un mese di antibiotici con quattro bei buchi nel sedere assestatigli da una dolcissima femmina. In compenso sta in area cani con un pitbull maschio intero con il quale va d’accordissimo. I cani sono individui.

Se due cani si ringhiano alla porta dell’area cani, non è sempre vero quel che vi dicono che poi quando entrate non ci saranno problemi. A volte è vero, ma non sempre.

Intanto si sono detti che non gradiscono socializzare: non stanno comunicandosi “guarda faccio così solo perché c’è la rete ma poi quando entri saremo amici e giocheremo”. No. Si sono detti “non mi piaci”, o “non ti voglio qui”.

Nella migliore delle ipotesi saranno a disagio tutto il tempo e ognuno si farà i fatti suoi, evitandosi. E per quale motivo allora portare il vostro cane a socializzare con un cane che vuole farsi i fatti suoi? State facendogli un favore? Gli state dimostrando che siete per lui una guida affidabile? Fatevi un giro e tornate più tardi quando l’altro se ne sarò andato. È così che costruirete fiducia e intesa con il vostro cane.

Siete in area sgambo e il vostro cane, perseguitato da un altro o da un intero branco, scappa, cerca rifugio da voi, sbadiglia per segnalare che è stressato, va al cancello e vi guarda, vi prega di portarlo via, ma voi state chiacchierando. In area cani si tiene d’occhio quel che succede. Non sempre è gioco.

Dovete andare a fare la spesa o stare tutto il tempo al cellulare per faccende importanti? Lasciate il cane tranquillo a casa. Sta meglio.

L’uscita con il vostro cane è dedicata alla vostra relazione. La passeggiata non è solo portare il cane a fare i bisogni o a farlo correre, è un rito importante sul quale vi giocate la sua fiducia e il suo benessere, anche quello mentale.

Le aree cani, anche quando sono vuote, rivelano molte cose di quello che succede al loro interno.

Manca l’erba lungo tutto il percorso della rete? È un’area cani con troppe cose intorno che attivano la territorialità dei cani continuamente, che passano il tempo ad abbaiare a rete.

Le panchine sono vicine al cancelletto? La gente con i cani sosterà lì e gli ingressi saranno difficoltosi.

Non ci sono alberi che facciano un po’ d’ombra nelle giornate calde? La fontanella è lontana? I cani rischieranno colpi di calore. Le aree cani senza acqua sono una cosa incomprensibile.

L’area è troppo piccola? Ed è in una zona popolosa? Ci sarà spesso ressa, magari di cani che si conoscono bene fra di loro, che hanno formato un gruppo stabile e gli estranei non saranno ben accolti.

C’è una striscia centrale priva di erba? Assidua frequentazione di cani che rincorrono palline.

Se girano troppe palline in presenza di tanti cani la competizione sarà assicurata e non sempre finirà bene.

Fate sì che le uscite siano di qualità, siateci, interagite con il vostro cane. Le uscite costruiscono la relazione fra voi: evitate le cose che la distruggono, come le interazioni forzate, i luoghi caotici e la mancanza della vostra presenza. Non insegnano nulla al cane, se non che lo avete portato in mezzo ai problemi o non ci eravate quando serviva. L’area cani è un posto per cani che si conoscono e stanno bene insieme. Se la situazione non è quella, meglio una bella passeggiata insieme nel verde, o anche in città, un bel giro del quartiere a prendere odori e marcature degli altri cani rende più felice il vostro cane e gli insegna più cose di un’inutile rissa o mezz’ora di tensione.

Leggi di più

Uomo e cane: una relazione molto antica

Cane e uomo sono entrambe specie sociali e culturali.

Questo significa che sono specie che amano la socialità come forma di convivenza e fonte di opportunità. Ognuna delle due specie ha costruito nei millenni un insieme di codici comunicativi e di regole sociali che permettono la sopravvivenza, la sicurezza, la condivisione di risorse e la piacevole convivenza interna nel gruppo di appartenenza.

Queste attinenze, ma anche molto altro, hanno fatto sì che, decine, forse centinaia di migliaia di anni fa, uomini e cani si siano incontrati e sia nato quel rapporto speciale e quella convivenza che ancora oggi vanno avanti indiscusse, nonostante fra le specie non vi siano solo similitudini, ma anche differenze.

Sono per ora state trovate tracce evidenti di cani domestici risalenti a un periodo che va dai 36.000 ai 12.000 anni fa. Per capirsi, nel periodo in cui Homo Sapiens si è imposto su suo cugino Neanderthal ed è rimasto la sola sottospecie Homo sulla terra.

I ritrovamenti però continuano e non è detto che non si possa scoprire che il rapporto fra cane e uomo sia ancor più di lunga data.

È curioso osservare che le evidenze archeologiche datino i primi segni di attività venatoria nell’Homo Sapiens proprio fra i 35.000 e i 10.000 anni fa, successivamente all’inizio della relazione con il cane. Le pitture rupestri che risalgono a quel periodo mostrano infatti le prove della collaborazione fra uomo e cane nella cattura e nell’uccisione di prede. Prima di questo periodo le evidenze suggeriscono che l’uomo fosse un raccoglitore, la cui dieta si basava principalmente su frutta, radici, tuberi, piante e solo occasionalmente la carne faceva parte della dieta, in genere si trattava di carogne frutto della caccia di altri animali predatori.

Viene da domandarsi se la caccia e le sue tecniche non siano dunque qualcosa che, abbiamo imparato attraverso l’osservazione di quei predatori progenitori dei cani di oggi.

Il cane è l’unico animale sulla terra con il quale l’uomo può vantare una così lunga convivenza.

Quella con il gatto infatti è successiva, risale a 9.500 anni fa, mille anni dopo l’inizio della coltivazione dei cereali. I gatti si sono avvicinati all’uomo per cacciare i topi che infestavano i granai.

Quella con il cane non è stata mera domesticazione, come è avvenuto per gli animali da allevamento, anche se non è escluso che il cane abbia costituito talvolta per l’uomo una risorsa alimentare, come avviene ancora adesso in alcuni posti.

Cane e uomo si sono scelti reciprocamente e volontariamente. Si parla perciò di co-domesticazione, un processo in cui entrambe le parti hanno avuto un ruolo attivo.

Le caratteristiche sociali comuni, le opportunità reciproche di aumentare la sopravvivenza, la tendenza del cane alla ricerca olfattiva, alla difesa del territorio e alla caccia, ma anche la vocazione umana al maternaggio, alla selezione, all’allevamento, hanno permesso nei secoli una co-evoluzione che ha modificato profondamente entrambe le specie, anche a livello culturale.

L’uomo e il cane di oggi non sono più quelli che erano prima di incontrarsi. La stretta relazione fra le due specie ha modificato le culture di entrambi e continua ancora oggi a modificarle.

I cani, quindi, non sono solo animali sociali, ma anche culturali. E questo lo può osservare ancora oggi se guardiamo le differenti abitudini dei cani nei vari angoli della terra, i diversi tipi di considerazione che suscitano nelle diverse culture umane e come questo abbia modificato le loro abitudini locali. Il comportamento delle razze di cani orientali verso l’uomo, per fare un esempio, si è talmente radicato nel loro DNA che, anche se vengono allevate in Europa, mantengono le loro caratteristiche pressoché invariate.

Quello che noi e i cani siamo oggi, come abbiamo potuto evolverci e progredire, lo dobbiamo gli uni agli altri. Non dovremmo scordarcelo mai.

Leggi di più