Non umanizziamo il cane

Umanizzare i cani non significa solo trattarli come bambini o vestirli da pagliacci come fanno in Giappone o attribuire loro atteggiamenti come i dispetti.

Nella costruzione della relazione e della comunicazione con il cane, è fondamentale il rispetto di tutte quelle espressioni che il cane, essendo un canide, mette in atto.

Pensare di poter cambiare i comportamenti di una specie a piacere nostro, o pretendere che il cane si comporti da umano, è tanto assurdo quanto cercare di interpretare le sue emozioni in chiave umana.

Il cane non è più o meno intelligente di noi. Ha un’intelligenza di specie differente, finalizzata ai suoi bisogni di specie, e le intelligenze di specie non sono comparabili fra loro.

Non siamo più intelligenti di loro solo perché abbiamo le mani e la motivazione poietica, quella del fabbricare, dell’inventare, del creare, che ci permette di costruire macchine e computer con le lucine colorate, di sviluppare ingegneria, scienza e medicina e andare sulla luna, creare arte e musica, che sono cose stupende, ma sono cose utili alla nostra evoluzione, non alla loro.

Cerchiamo un attimo di uscire dalla nostra dimensione antropocentrica, perché dobbiamo sempre sentirci in gara con tutti gli altri esseri viventi? C’è una gara? Chi l’ha indetta? E quale sarebbe il trofeo? Perché ci teniamo così tanto ad essere i più bravi e intelligenti di tutti? Non sarà che stiamo valutando le cose solo dal nostro punto di vista?

Anche i cani sono competitivi, ma se la tirano un po’ meno di noi. Ed evitano anche di distruggere il pianeta su cui vivono. Segno di intelligenza, va riconosciuto.

Ma lo sappiamo cosa sanno fare i cani senza bisogno di laurearsi in matematica?

I cani sanno contare a occhio anche meglio di noi, un maremmano si accorge se nel gregge invece che 234 pecore ce ne sono 233, noi facciamo fatica a distinguere se le pasticche in un barattolo sono più o meno di dieci.

I cani sanno fare calcoli complicatissimi di fisica, mettendo in relazione la velocità e la direzione del vento, che percepiscono con le vibrisse, con le variazioni di intensità dell’odore che il vento sta portando, che percepiscono con i loro duecentocinquanta milioni di recettori olfattivi contenuti nei loro grossi nasi (contro i miseri cinque milioni che abbiamo noi), e attraverso queste equazioni sanno calcolare se chi lascia quell’odore sta allontanandosi o sta arrivando e fra quanto arriverà esattamente. Con il naso percepiscono perciò anche il tempo. Se noi uomini sapessimo fare equazioni del genere, lavoreremmo tutti alla Nasa.

I cani scelgono quel che fare, pensano quindi al futuro, attraverso motivazioni, emozioni, valutazioni e ragionamenti logici, non rispondono automaticamente a stimoli come le macchine come vorrebbero farci credere alcuni.

I cani sanno benissimo di essere cani e non umani. Non hanno bisogno che glielo diciamo noi. Lo imparano nelle prime settimane di vita. Però a volte li trattiamo come fossero umani.

I cani provano gli stessi desideri, sentimenti ed emozioni che proviamo noi. Non sono le emozioni a essere differenti, ma le rappresentazioni che generano queste emozioni: un profumo di Chanel in noi provoca emozioni positive, in un cane le stesse emozioni possono essere provocate dall’odore di un piccione morto. Cosa che a noi provocherebbe invece disgusto, quanto forse a un cane che viene profumato dopo il bagno.

Strattonare via il cane che sta annusando una pipì o una cacca, è maleducazione tale e quale la subiremmo noi se ci strappassero via il telefono con cui stiamo comunicando o il giornale che stiamo leggendo. Annusare i feromoni è parte integrante della comunicazione della loro specie. Può salvare loro la vita farlo. Se non glielo lasciamo fare, tra l’altro, distruggiamo la relazione che hanno con noi. Attraverso questi comportamenti, i cani hanno potuto moltiplicarsi, evolversi, non estinguersi e arrivare ai giorni d’oggi come noi.

Restiamo umani, restiamo intelligenti a modo nostro, ma rispettiamo la diversità e le intelligenze diverse dalla nostra, non abbiamo niente in più di chi è diverso da noi.

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