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Il cane, noi e il ruolo.

Il cane è un animale sociale. Per stare bene deve sentirsi parte di un gruppo. I cani selvatici, i cani di villaggio, i cani randagi vivono in branchi. E in un branco, ogni individuo ha un ruolo.

C’è il leader, o meglio, il coordinatore: l’individuo, maschio o femmina che sia, più autorevole e competente -non quello più autoritario e cattivo- quello che dice al branco quando si sta, quando ci si muove, dove si va, quello che dirime i conflitti, quello che gestisce le risorse per il branco con equità e nel rispetto delle gerarchie, e in quest’ordine gerarchico i cuccioli vengono privilegiati, perché sono il futuro del branco. Ci sono poi le sentinelle, che avvisano se qualcuno viola il territorio controllato. Ci sono i bracci armati, quelli che hanno la stazza e la sicurezza per prendersi il compito di allontanare gli intrusi. Ci sono le tate a fare scuola, in genere giovani maschi o femmine più adulte che hanno la vocazione innata di accudire i cuccioli e insegnargli come si sta al mondo e a non cacciarsi nei guai. Ci sono i perlustratori, quelli che hanno un olfatto fine e sanno trovare le spazzature più ricche di cibo per tutti.

Ma attenzione: nessun ruolo è per sempre, bisogna dimostrare ogni giorno al branco la propria competenza. Il branco ti testa ogni giorno, nessuno è assunto a tempo indeterminato. Perché in gioco c’è la sopravvivenza stessa del branco, non noccioline.

Quando noi adottiamo un cane, il cane ripete questi schemi ancestrali cercando all’interno della famiglia umana adottiva un proprio ruolo, in più, testa ogni giorno il nostro per poter mantenere la fiducia che ripone in ogni membro della famiglia. Neanche in famiglia, infatti, per il cane ci sono assunzioni a tempo indeterminato.

In un gruppo costituito da uomini e cani però sorge però un problema, che confligge con la natura del cane: se siamo noi umani a occuparci del cibo, dell’acqua, delle passeggiate, a dire quando si esce e quando si torna a casa, a decidere dove può stare e dove deve riposare, perfino a gestire la sua possibilità di riprodursi, a lui cosa resta? Qual è il suo ruolo?

Se abbaia perché arriva qualcuno magari gli urliamo e ci arrabbiamo, se cerca di difenderci lo rimproveriamo perché non vogliamo che abbai alle persone o agli altri cani, se usciamo in passeggiata con lui poi, non lo degniamo di attenzione, non giochiamo con lui, non andiamo mai a scoprire insieme posti nuovi, passiamo il tempo al cellulare e a casa pretendiamo che stia buono nella cuccia e basta. Che ruolo ha il nostro cane nel nostro branco familiare?

Cambiamo per un attimo prospettiva e cerchiamo di capire chi e cosa è un cane. Mettiamoci nei suoi panni. È un essere sociale, come noi prova emozioni, desideri, necessità di esprimersi, ha bisogno di riconoscimento, di sentirsi parte della squadra. Ha bisogno di sentirsi bravo a fare, non inutile. Se lo teniamo sempre in panchina come si sente?

Voi sareste felici senza fare mai nulla, con qualcuno che vi dice solo “seduto”, “zitto” o “cuccia” tutto il giorno?

Per un cane, avvisarvi se arriva qualcuno è un ruolo; accompagnarvi in passeggiata alla scoperta del mondo è un ruolo; difendervi è un ruolo; collaborare con voi è un ruolo.

Il ruolo però è anche assunzione di responsabilità. Ci sono responsabilità che un cane può assumersi e altre che non regge. Dipende dal suo grado di sicurezza, dalle sue capacità fisiche e mentali, dalla sua età, dalla sua stazza, dalle sue vocazioni, dall’entità del problema che ha davanti, dalle sue risorse di coping, dalla sua capacità di adattamento.

Se da un lato è vero perciò che dobbiamo concedere ruoli al nostro cane, dall’altro dobbiamo avere sempre in mente che concedergli un ruolo che non può sostenere è l’anticamera della frustrazione, del senso di inefficacia e dell’ansia.

I ruoli sono sacrosanti, ma se noi vogliamo essere davvero queste guide autorevoli nel gruppo, i comportamenti di ruolo vanno incorniciati dentro regole, devono avere un inizio, uno svolgimento e una fine. Altrimenti, senza uno stop, un comportamento resta aperto, gratifica il cane ma non lo appaga. Un piatto di pastasciutta, quando lo guardate vi mette voglia di mangiarlo (attivazione delle emozioni e delle motivazioni), mentre lo mangiate vi gratifica (quanto è buono!) ma solo quando lo avrete finito vi sentirete sazi (appagamento).

Inizio, svolgimento e fine. Attivazione, gratificazione, appagamento. Più chiara così la differenza tra gratificazione e appagamento? Senza un segnale di finito non c’è appagamento.

Ora, se il cane mi avvisasse abbaiando che arriva qualcuno, e io gli urlassi come un forsennato di stare zitto, magari minacciandolo, le mie urla lo ecciterebbero ancor di più, togliendogli riflessività e valutazione della situazione. Non rivolgerebbe la sua attenzione su di me. E continuerebbe ad abbaiare in loop.

“Quanto sono bravo ad abbaiare, mi piace abbaiare per cacciare gli intrusi, più abbaio e più divento bravo ad abbaiare per cacciare gli intrusi, più abbaio e più abbaierò.”

Sono le leggi del comportamento. Ma molti le ignorano.

Se io gli dicessi invece con tono calmo e assertivo: “Bravo, grazie, tutto a posto, finito”. E prendessi io la responsabilità di quel che accade, facendoglielo capire soprattutto con il linguaggio del mio corpo, andando io a ricevere l’ospite e chiedendogli di spostarsi dalla porta, dopo un po’ di volte che agissi così, il cane comincerebbe a darmi retta.

Perché? Perché con il “bravo” e il “grazie” ho riconosciuto il suo ruolo e la sua competenza; lasciandolo abbaiare un attimo ho gratificato la sua vocazione protettiva e territoriale (solo un folle può pensare di togliere a un cane qualcosa che è nel suo DNA di specie); con il “tutto a posto, finito” mi sono assunto io la responsabilità dell’azione da quel momento in poi, ho appagato il cane, dandogli indicazione che il suo ruolo è finito: “ora tocca a me, puoi riposare”. Puoi smettere di abbaiare.

Ed è così che ho costruito fra me e lui la collaborazione di squadra: tu avvisi, io vado: tu sei la sentinella, io il braccio armato. Come in un branco. Questo fa star bene il cane. E anche noi.

In più, ho anche costruito fra di noi la mia leadership, la mia autorevolezza, ho coordinato la squadra.

Così un cane riconosce in voi il leader, non urlandogli e mettendogli paura.

Se siete calmi, assertivi, se non c’è agitazione, ansia, allarme, se è tutto a posto, siete rassicuranti e affidabili. Voi riporreste fiducia e ascolto in una persona che grida in preda all’agitazione? Non credo.

Questo vale per qualunque cosa faccia il cane. Che voglia difendervi, che voglia accompagnarvi alla scoperta del mondo, che voglia giocare. Costruire schemi in cui collaborare, ognuno con il suo ruolo. È questo il nostro compito di leader nel gruppo. Dobbiamo essere come gli allenatori: riconoscere i talenti, valorizzarli, ma poi incorniciarli nelle regole della collaborazione.

Attenzione: il cane non ci dà per scontati mai.

Il cane, animale sociale e di branco, ci testerà tutti i giorni per vedere se siamo sempre i coordinatori, se davvero siamo affidabili, autorevoli. Nel gruppo dobbiamo allora esserci, essere presenti, avercelo questo ruolo di allenatori.

E mai dovremmo noi dare per scontato il cane.

Se non ci siamo mai, se lo ignoriamo, se abbiamo sempre altro da fare, il cane può anche decidere che non facciamo parte del gruppo, poiché non abbiamo alcuna funzione al suo interno. Ed è qui che iniziano i problemi.

Cani che ci ringhiano, che ci mordono, che non ci fanno passare, che non ci fanno uscire di casa, che non ci ascoltano, che tirano al guinzaglio o se lo pigliano in bocca loro per coordinarci, che ci montano le gambe.

Siamo noi, con il nostro apparire ai loro occhi come inutili al gruppo, con il nostro non avere un ruolo, che gli abbiamo detto di fare così.

Il ruolo è importante. Cambiamo prospettiva.

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